L’assenza prolungata del presidente Yar’Adua (nella foto) – che si trova in Arabia Saudita da novembre per curare una non ben definita cardiopatologia – sta provocando malumori in Parlamento, alimentando bramosie negli oppositori e fastidi tra gli alleati. Il susseguirsi di voci sul suo stato di salute ha tentato di delegittimare la sua carica, che era stata ribadita il 27 gennaio scorso proprio dal Parlamento, il quale aveva sostenuto che Yar’Adua era «nelle condizioni di governare» il paese. Solo qualche giorno dopo la confermata fiducia, però, il ministro dell’Informazione Dora Akunyili aveva redatto un documento in cui chiedeva le sue dimissioni, trovando appoggio nei governatori dei 36 Stati nigeriani, che avevano chiesto in coro al Presidente di rivedere la propria posizione. Domenica 14 febbraio il Parlamento ha consegnato d’ufficio i pieni poteri presidenziali al vicepresidente Goodluck Jonathan, che di fatto subentra a Yar’Adua. In molti hanno già espresso i loro dubbi sulla legittimità della decisione parlamentare, e quindi sulla validità della carica di Jonathan. Tra le altre cose, la regola non scritta che assegna in modo alternato la presidenza al nord mussulmano ed al sud cristiano subisce, in questo modo, una forte scossa. Jonathan è infatti un ijaw originario del Bayelsa, Stato che si trova nella regione del Delta del Niger. Resta quindi da capire a chi spetterebbe la prossima presidenza, visto che le elezioni del 2011 sono tutt’altro che lontane. Mentre all’interno del PDP sale la tensione, e potrebbe innescarsi un meccanismo di frammentazione assai pericoloso (che renderebbe ancora più precaria la già critica politica parlamentare), nel sud del paese ha ripreso a farsi sentire il Mend (Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger), che si è reso protagonista di sabotaggi e attacchi nei confronti dei pozzi petroliferi presenti nell’area. L’assenza di Yard’Adua, infatti, interrompe anche quei tentativi di negoziato con i ribelli, che prevedevano l’amnistia e aumenti nella distribuzione del denaro proveniente dalla produzione di petrolio agli stati produttori. Alcuni hanno visto nel subentro di Jonathan alla presidenza una possibile riapertura del dialogo. Del resto il neopresidente è originario della regione del Delta, e dovrebbe essere – almeno etnicamente – più sensibile alle istanze dei ribelli. Jomo Gbomo, portavoce del Mend, ha subito smorzato l’ottimismo, facendo sapere che il gruppo collaborerà col governo nigeriano soltanto se saranno soddisfatte le richieste avanzate riguardo il controllo locale delle risorse energetiche.
Nel frattempo la vita politica nigeriana prosegue coi suoi ritmi e i suoi appuntamenti, in particolare quelli elettorali. L’ultima vicenda elettorale ha visto protagonista lo Stato di Anambra, roccaforte dell’etnia igbo nel sud-est del paese e ottavo stato più popoloso della Nigeria, dove, il 6 febbraio scorso, il governatore uscente Peter Obi è stato dichiarato vincitore dall’INEC (Indipendent National Electoral Commission), battendo ben 24 altri candidati. Irregolarità nello spoglio dei voti e ritardi nel trasporto delle schede elettorali hanno evidenziato, ancora una volta, quanto sia accidentata la strada per la democrazia nel piccolo Stato, e fanno apparire le dichiarazioni rilasciate dal neopresidente Jonathan ancora più stonate e lontane dalla realtà. In una nota, Jonathan, ha infatti dichiarato che «le elezioni debbono avere il marchio indelebile della credibilità, dobbiamo prenderle molto seriamente e insistere affinché il voto, espressione dell’elettorato, rappresenti l’arbitro finale». Le elezioni presidenziali del 2007 rappresentano un esempio significativo, ed una importante testimonianza circa la scarsa legalità entro cui solitamente si svolgono le consultazioni elettorali nel Paese africano. Tra infinite polemiche di ordine legalitario e scontri a fuoco, esse sancirono la vittoria del candidato del PDP Umaru Musa Yar’Adua, che con il 70% dei voti (l’affluenza fu appena del 58%, contro il 64,94% del 2003) si aggiudicò la vittoria, battendo gli altri due maggiori candidati, Muhammadu Buhari(18%) e Atiku Abubakar(7%). Quello che allora provocò l’ira degli sconfitti, ancor più che la scontata vittoria del PDP, fu il netto divario – un caso unico nella storia elettorale nigeriana, considerando che l’ex presidente Obasanjo, pur molto popolare, fu eletto col 61,88% – maturato in condizioni di assai dubbia legalità. L’uccisione di alcuni agenti di polizia nello Stato di Nassarawa e il tentativo fallito di far saltare in aria il quartier generale della commissione elettorale ad Abuja dànno, qualora ce ne fosse bisogno, l’idea di una democrazia fittizia pronta ad esplodere al primo inceppo. Il momento del voto condensa istanze etnico-politiche, oltreché religiose, destinate ad infrangersi contro il muro dell’illegalità, o a vincere a mani basse grazie a questa. Anche la recente storia elettorale dello Stato di Anambra sembra lasciar poco spazio a speranze democratiche. Nel 2003, l’INEC dichiarò vincitore Chris Ngige, ai danni proprio di Peter Obi, candidato dell’APGA (All Progressive Grand Alliance). In seguito ad una controversia legale, il 15 marzo del 2006, la Corte d’Appello riassegnò la vittoria ad Obi. Sottoposto a procedura di impeachment sei mesi dopo, abbandonò la carica di governatore per difendersi dalle accuse. Fu reintegrato nel febbraio del 2007, per poi lasciare ancora il 29 maggio dello stesso anno, in seguito ai risultati delle elezioni di aprile, che avevano decretato la vittoria di Andy Uba. Quindici giorni dopo, la Corte Suprema riassegnò ancora una volta la vittoria a Obi, annullando i risultati delle precedenti consultazioni. La rielezione del politico quarantottenne – per cui si prospettano altri quattro anni di governo – segna dunque una sostanziale continuità politica, il cui equilibrio non può certamente considerarsi inattaccabile, e la cui sopravvivenza non può dipendere esclusivamente dal voto popolare. Per il momento sembra essere scongiurato l’annullamento del risultato elettorale. The Anambra State Public Officers and Elders Forum (ASPOF) ha invitato gli altri candidati ad accettare la vittoria di Obi, soprattutto nell’interesse di uno Stato che negli ultimi undici anni ha vissuto turbolente vicende politiche.
* Roberto Sassi si occupa di Africa per il sito di “Eurasia”